di Tiziana Ciaralli | 13 novembre 2018
L’espressione “Le mie mamme montagne”
ci fa giungere al rifugio di Antonia Pozzi: la natura
incontaminata dei luoghi della sua infanzia.
E’ il suo riparo da tutto ciò
che si interpone fra la pace gioiosa di una bambina e
la pace che si cerca in nome di un cuore che abbia ancora
il colore delle genzianelle (v. Flora alpina).
Ed è proprio questo intervallo di tempo rappresentato da due sguardi, l’uno posto all’inizio, al sorgere delle esplorazioni, allo sbocciare delle cose della vita e da qui l’incanto, e l’altro non posto, ma migrante nella parte finale della breve esistenza, a farci interrogare, con rispettoso silenzio (è nel silenzio che le domande vengono a formularsi), sulla vicenda umana e poetica di Antonia Pozzi.
“[… ] rivolgo il mio cuore alla fragilità degli uomini e idealmente il mio sguardo al di là del muro, dove esattamente ottant’anni fa è stata ritrovata, in fin di vita, Antonia Pozzi e vorrei accogliere dentro me il suo grido e fonderlo con la preghiera che canto.”
Codeste le parole di Padre Elia, monaco cistercense dell’Abbazia di Chiaravalle, che racchiudono il suo chiaro e potente messaggio di volontà di contatto con gli interrogativi esistenziali, ora ferventi ora laceranti, dai quali, i giovani soprattutto, sono attraversati.
Voci, dunque, come anche il grido, da accogliere. Ideare un premio di poesia rivolto a giovani voci, dedicato ad Antonia Pozzi, ha la sua sorgente proprio nello “sguardo al di là del muro”.